Se gli albergatori non evolvono è colpa di noi consulenti

Tra esperienze, riflessioni e un po' di necessaria autocritica...

Ok, il titolo è un po’ troppo provocatorio ma non così tanto. Provo a spiegarmi meglio, così da cercare di offrire una valore a questo articolo e non ridurlo solo ad una sterile polemica. L’idea nasce da un paio di esperienze personali che mi hanno portato a ragionare sul nostro ruolo di consulenti e sull’impatto che possiamo avere sulla crescita generale di una categoria. Ma arriviamoci per gradi.

Partiamo semplicemente da una definizione qualunque della parola consulente (la prendo da Wikipedia ma avrei potuto prenderla da qualunque altra parte)

La consulenza è la professione di un consulente, ovvero una persona che, avendo accertata qualifica in una materia, consiglia e assiste il proprio committente nello svolgimento di  pratiche o progetti fornendo o implementando informazioni, pareri o soluzioni attraverso il proprio know how e le proprie capacità di problem solving.

e poi ancora:

Compito del consulente è quindi, una volta acquisiti gli elementi che il cliente possiede già, di aggiungervi quei fattori di sua esperienza, conoscenza e professionalità che possono promuoverne sviluppi nel senso desiderato; in tale contesto è sostanziale il rapporto di fiducia tra il committente e chi fornisce consulenza. Tale fiducia può fondarsi su un rapporto consolidato, sulla notorietà del consulente, sulla competenza e capacità dimostrate, sui titoli accademici e professionali che egli possiede.

Tutto molto bello, chiaro, semplice e quasi scontato. Osservando però quel che ogni giorno viene raccontato, descritto e comunicato mi sorgono sempre più dubbi se consulenti e albergatori parlino la stessa lingua e, sempre più spesso, mi accorgo che non è così.

Le ragioni? Difficile individuarle con esattezza ma ho provato a formulare una serie di ipotesi che mi piacerebbe discutere sia con i miei colleghi che con i nostri interlocutori: gli albergatori e tutti gli operatori del settore turistico.

Le conoscenze diverse dovrebbero essere un valore aggiunto

Come da definizione, la natura di una consulenza sta proprio nella fusione di diverse conoscenze che si completano e finalizzano allo scopo di perseguire un obiettivo comune.

Dal mio punto di vista il consulente deve cercare di riconoscere la base informativa da cui partire e proporre un percorso commisurato a questa base. Confrontandoci con lo stimato collega Luca Crivellaro ci siamo domandati più volte che senso abbia discutere di bot, big data e altre diavolerie a piccole aziende che non hanno ancora percepito il valore di aspetti basilari come, ad esempio, il non lavorare più con un listino prezzi o il caricare in modo corretto una news pensando tanto alle persone quanto ai motori di ricerca.

Ed è qui che si gioca una prima importante questione: la differenza tra ciò che serve al progetto e ciò che piace al consulente.

Solo per fare alcuni esempi, abbiamo vissuto il periodo del blog necessario , di Google Plus, dei video quotidiani indispensabili, delle dirette, dei droni, dei bot, dell’ultima figata tecnologica che hanno presentato ma, nel frattempo, la maggior parte degli operatori è rimasta ferma al punto di partenza in attesa che qualcuno gli offra l’occasione di muovere i primi passi. Chiaramente non c’è alcuna responsabilità dei consulenti per chi è rimasto indietro ma è altrettanto vero che non ce ne sono così tanti disposti a “sporcarsi le mani”, ripartendo a lavorare dalle basi.

Il focus sugli obiettivi porta al “quanto” e mai al “come”

Qualunque consulente insegna (giustamente) a focalizzare le proprie strategie di marketing verso gli obiettivi e imposta tutte le attività in funzione di numeri che devono necessariamente confermarne il valore rispetto alla cifra richiesta per il lavoro. E fin qui, tutto nella norma.

Nell’orizzonte temporale che parte con l’avvio ai lavori e si completa con l’esposizione dei risultati si apre un buco tra chi commissiona e chi agisce, come a voler proteggere quello che è, di fatto, un segreto di pulcinella. C’è poca tendenza ad accompagnare il cliente verso la comprensione degli strumenti e le metodologie che hanno portato determinate performance.

Una maggior consapevolezza degli strumenti e il loro funzionamento in realtà non intacca i ruoli ma supporta lo scambio di informazioni tra le parti: l’albergatore saprà filtrare e plasmare le informazioni per fornire i giusti input e il consulente riuscirà a trasmettere in modo trasparente il valore di quello che si sta facendo.

La competizione abbassa il livello invece di alzarlo

Senza entrare nel merito di prezzi e tariffe (argomento per cui servirebbe si finirebbe impropriamente a parlare di etica e per cui servirebbe ben più di un articolo), in teoria il fiorire di un numero sempre più alto di consulenti dovrebbe garantire un livello qualitativo sempre più alto. Tuttavia la non tangibilità del lavoro, associata a differenti livelli di preparazione ed esperienza, porta i consulenti a proporre quel che sanno fare e li fa guadagnare di più. Difficilmente questa soluzione coincide con quel che serve per migliorare l’andamento di un’attività dal punto di vista del marketing e della promozione.

Gli operatori tendono quindi a muoversi “a sensazione”, basandosi spesso sul classico “lavora anche per loro allora è bravo” che non è sempre indicazione chiara di qualità. In alternativa si lasciano conquistare proprio da coloro che gli hanno parlato di bot e big data perché “ho capito un terzo di quello che ha detto, lui si che ne sa”.

Il risultato è un settore che resta sicuramente tra i più evoluti, nel quale vi è grande spazio per cercare di migliorare ma che affronta con difficoltà un cambio generazionale che filerebbe molto più liscio se anche i consulenti facessero la loro parte. Me compreso.

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Commenti

  • Stefano Pediconi

    Mi sono imbattuto per caso su questo articolo che sviluppa un tema che spazia dalla progettazione architettonica al marketing, dai social media al revenue management e a tanto altro.
    Io vedo tanta superficialità in chi si improvvisa consulente sulla base di una presunta esperienza; dall’altra, troppo spesso trovo una presunzione di fondo che non permette di seguire i consigli di chi viene chiamato come consulente.
    Eppure, laddove il matrimonio è sincero, si riscontrano veramente grandi risultati.

  • retorica

    Ciao Stefano,
    grazie per il tuo contributo. Mi trovi abbastanza d’accordo. Tutto si basa sul cercare di costruire un rapporto di fiducia che viene spesso intaccato da alternative “che costano meno” e di cui è difficile vedere gli effetti nel breve periodo. Ma restiamo fiduciosi proprio in virtù del fatto che quando nasce una buona collaborazione, fatta di umiltà e scambio reciproco, le cose funzionano eccome e i risultati si vedono.

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