In definitiva, l'abolizione della parity rate è un bene o un male?

Più lati della stessa medaglia. Ma le OTA si muovono già altrove.

Ormai da un mesetto il DDL sulla Concorrenza, approvato dal Governo nel 2015, è passato anche in Senato diventato così legge. Una notizia accolta con molto clamore dagli addetti ai lavori e che merita sicuramente un approfondimento nonostante tutto. Dico nonostante tutto perché questa legge arriva a “risolvere” una delle diatribe più vecchie nel nostro settore proprio quando uno degli attori (le OTA) ha già mosso i propri passi in un’altra direzione per mantenere la sua posizione dominante non davanti alla legge ma agli occhi dell’utente. Ma andiamo per gradi.

Cosa cambia con l’abolizione della parity rate?

Fino a poco tempo fa, sottoscrivendo un contratto con le principali OTA sul mercato si accettava un vincolo a non rendere disponibile sul proprio sito lo stesso prodotto ad un prezzo inferiore, pena la libertà di interrompere il contratto da parte della OTA stessa. All’interno della legge sulla concorrenza questa eventualità viene gestita da un emendamento che sottolinea:

nullità delle clausole contrattuali che vietano alle imprese ricettive di offrire prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli praticati da piattaforme di distribuzione online.

In sostanza i proprietari della struttura vengono “liberati” da un vincolo che per anni li ha fatti sentire succubi di strumenti ormai divenuti indispensabili per lavorare (anche se c’è chi ancora sostiene il contrario ed avremo modo in un altro momento di parlare anche di questo). A

Secondo la stessa Federalberghi questo cambiamento è positivo sia per i gestori delle attività che per i consumatori. I primi dovrebbero essere spronati a compiere nuovi investimenti e a gestioni più oculate, compiendo maggiori investimenti nei canali di vendita diretti e nella formazione del personale impegnato nella vendita. E i consumatori potranno beneficiare di un miglior prezzo accedendo ai canali diretti, senza subire indirettamente alcuna imposizione contrattuale. Per contro, sempre secondo Federalberghi, dovranno investire sulla qualità del servizio e la riduzione delle commissioni.

Cosa non cambia con l’abolizione della parity rate?

In realtà la situazione non è proprio così semplice ed immediata. I pro e i contro di lavorare in regime di parity sono molti e dipendono strettamente dalla capacità di lavorare al proprio brand e alle possibilità di investimento in attività che mirino a spingere la vendita sui canali diretti.

Nel mio libro”Marketing Turistico” ha espresso un parere in merito Emanuele Nardin, direttore di Hotel Performance società specializzata in revenue management per hotel:

Maggiore è la forza del brand, la capacità di investire sui propri canali diretti, la reputazione, l’attività di marketing e di web marketing che, nell’insieme, contribuiscono a generare nell’utente un maggior senso di fiducia, maggiore sarà la possibilità di disintermediare anche operando in regime di disparità tariffaria, senza subire effetti collaterali su occupazione e performance della struttura; maggiore è la dipendenza dalle OTA e maggiore sarà la necessità di considerare i possibili effetti collaterali di operare in disparità tariffaria.

Altro importante elemento da prendere in considerazione è il fatto che l’utente potrebbe trovare prezzi diversi per la stessa struttura. Quale tipo di percezione avrebbe in quel momento il potenziale ospite?

Una scuola di pensiero sostiene che questo tipo di situazione potrebbe generare un senso di inaffidabilità che potrebbe spingerlo a prenotare altrove, mentre un’altra pensa che in questo modo l’utente sarebbe spinto ad approfondire ancora di più la ricerca nel tentativo di trovare qualcosa di sempre più vantaggioso. Un’ultima è convinta che ormai ci sia l’abitudine di prezzi diversi per lo stesso prodotto/servizio, ma mi pare una visione abbastanza ottimistico nei confronti dell’adozione delle nuove tecnologie nel mondo del turismo. La verità, sicuramente, si trova nel mezzo tra queste alternative.

Concludendo

Difficile prendere una posizione in questo scenario. Il mio punto di vista è che per le strutture che hanno recepito la necessità di utilizzare le OTA come parte della loro strategia, intervenendo parallelamente sulla qualità del prodotto e dei servizi allo scopo di fidelizzare la propria cliente e migliorare la percezione del proprio brand, non cambia granché. Queste avranno una strategia chiara e che non si basa sul prezzo come unica leva per cercare di vendere e fare profitti.

A tal proposito puoi leggere un approfondimento sul concetto di disintermediazione dalle OTA.

Per chi invece non ha appreso la necessità di creare una propria strada che coinvolge le OTA ma senza esserne strettamente dipendenti, la situazione potrebbe farsi più complicata. Penso in particolar modo a quei momenti di panico da piano camere vuoto, dove la tentazione di agire al ribasso sul prezzo pur di riempire un buco si fa molto forte.

Intanto le OTA hanno già spostato (da tempo) la loro attenzione altrove e se la giocano molto meno sui prezzi. Lo stesso booking.com ogni giorno martella le persone promuovendo le sue politiche di cancellazione molto ampie e “pro-consumatore”. Con buona pace degli albergatori che hanno già cominciato a lamentarsi ma si trovano di nuovo tra l’incudine e il martello.

Fonte Immagine: Museo Scienza e Tecnologia di Milano

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